Ieri, in tutto il mondo (o, più precisamente, in quasi tutto il mondo) si è celebrata la Festa del lavoro. Una ricorrenza che va oltre la “semplice” (si fa per dire) analisi economica, ma che assume, soprattutto nei Paesi dove la democrazia è più a rischio, la parità di genere un obiettivo lontano dall’essere raggiunto, lo sfruttamento è all’ordine del giorno, la sicurezza ancora non considerata come fondamentale, un valore ben superiore, che da una rappresentazione fedele del livello di sviluppo raggiunto da questo o quel Paese.
Non si tratta, quindi, solo di “capire” se c’è lavoro o meno (peraltro, gli ultimi dati, in questo senso, per il nostro Paese, sono piuttosto confortanti – per quelli che sono, ovviamente, i numeri a cui siamo abituati -: il tasso di occupazione – il numero degli occupati sul totale della popolazione “attiva” – è ai massimi, con 23,7ML di occupati – + 351.000 vs febbraio 2023 –, la disoccupazione maschile al 6,5% – 6,1% la media €uro -, quella femminile 8,7% – vso 6,9% zona € – , mentre rimane abissale quella giovanile, al 22,8% – 14,6% la media UE, portando al 7,5% il tasso di disoccupazione medio, con un 33% di “non attivi”), ma “come” si lavora, i tempi di percorrenza casa-lavoro, quanto tempo rimane per coltivare le proprie passioni o la famiglia, la possibilità o meno di seguire l’educazione dei figli e quindi le politiche sociali che sono alla base, insieme ad altri fattori, dello sviluppo demografico o meno di un Paese (come ben sappiamo, visto che l’Italia forse è “l’apice” della crisi demografica, con un numero di nascite ai livelli più bassi del dopo guerra (siamo a circa 380.000 nascite negli ultimi 12 mesi, negli anni 60, con un numero di abitanti ben inferiore e con l’immigrazione ancora sconosciuta – oggi, oltre a “sostenere” i conti dell’INPS, contribuisce in maniera determinante alla demografia – si era intorno al milione di nuovi nati per anno).
Caso vuole che, proprio ieri, sono stati resi noti i dati sull’andamento economico dell’area €.
Non pochi (a cominciare, probabilmente, dalla BCE) devono aver tirato un sospiro di sollievo nell’apprendere che la recessione, in Europa, non è andata oltreil campo delle ipotesi. Il primo trimestre, infatti, si è chiuso con una crescita dello 0,3%, sia per la UE che per la UE “allargata” (quella che comprende i 27 stati membri), contro previsioni che si fermavano allo 0,2% (portando così, rispettivamente, allo 0,4% e 0,5% l’incremento su base annua). Si tratta “solo” di un + 0,1%: ma la considerazione non deve fermarsi al puro aspetto matematico, indicando, invece, che non solo la recessione è scampata, ma che anche la fase di “soft landing” potrebbe durare meno del previsto. Trattandosi di Europa, il dato, nel bene e nel male, è influenzato da quanto succede in Germania: nel momento in cui, come successo ieri, ha una lettura positiva, ciò significa che anche l’economia “made in Deutschland” ha virato, dopo un IV trimestre 2023 difficile, in positivo, con una crescita dello 0,2%, sullo stesso livello della Francia.
Meglio di loro ha fatto l’Italia: il nostro dato è assolutamente allineato a quello europeo (+ 0,3% rispetto al trimestre precedente), che porta al + 0,6% il delta rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e, soprattutto, ci consente di “mettere in cassaforte”, per l’anno in corso, una “crescita acquisita” dello 0,5%: se anche, quindi, da qui in avanti non si andasse oltre lo zero, rimarrebbe un PIL in crescita dello 0,5%. Diventa, pertanto, oggettivamente più perseguibile l’obiettivo di arrivare all’1% di crescita (più difficile l’1,2% governativo): una percentuale che farebbe molto comodo ai nostri conti pubblici, con il Tesoro impegnato a “trovare” risorse per circa € 20 MD per mantenere le agevolazioni già annunciate ed evitare eventuali “procedure d’infrazione” per sforamento (ulteriore) del deficit (già oggi intorno al 7,4%), oltre che dare spazio al mercato di “prezzare” il rischio Italiaa costi superiori all’attuale (ergo, lo spread che torna a crescere). A tal proposito, va, appunto, nella direzione di “congelare” lo spread la volontà di emettere sempre più titoli governativi dedicati alle famiglie (ormai la percentuale di quelle che li detengono è pari a circa il 13,5%): così si spiega (oltre all’evidente necessità di “fare cassa”) l’emissione del nuovo BTP Valore che inizierà lunedì 6 pv, e che si concluderà (salvo chiusura anticipata, ipotesi abbastanza remota) venerdì 10 pv (al momento si sa che avrà durata 6 anni, con cedola crescente – fissa per i primi 3, poi ad un valore superiore per i successivi 3, ma i valori verranno comunicati tra domani e sabato -, premio di “fedeltà” per chi li detiene sino a scadenza 0,8%, cedola trimestrale, taglio minimo € 1.000, emessi e rimborsati – a scadenza – a 100), a neanche 3 mesi (era febbraio) dalla precedente (che ha visto il record di sottoscrizioni, con oltre € 18,5 raccolti).
Il mese di maggio si apre con i mercati asiatici a “scartamento ridotto”.
Shanghai, infatti, è chiusa per festività. A “tenere alto il morale” ci pensa l’Hang Seng di Hong Kong, a + 2,53%.
Frazionalmente debole il Nikkei di Tokyo (- 0,08%); sulla stessa falsariga il Kospi di Seul (- 0,14%).
Leggermente positivo il Sensex di Mumbai (+ 0,20%).
Ampiamenti positivi i futures, con quelli americani nel range 0,40-0,75%, mentre quelli europei appaiono più tranquilli (Eurostoxx + 0,35%).
Petrolio in forte calo nella giornata di ieri, con il WTI sotto i $ 80 (questa mattina in leggero recupero, + 0,54%, $ 79,52).
Gas naturale a $ 1,958, + 1,19%.
Oro in ripresa ($ 2.324, + 0,51%).
Spread a 128,8 bp, per un BTP a 3,88%.
Bund a 2,59%.
Treasury a 4,62%.
€/$ a 1,0719, poco mosso.
Si è mosso, invece, eccome, il Bitcoin, in calo rispetto alle quotazioni di martedì, di oltre il 10%, con il prezzo sceso a $ 57.450.
Ps: che i giovani stiano attraversando un periodo piuttosto complicato è cosa nota. Ma i numeri pubblicati nel Rapporto sull’infanzia dell’Unione Europea per il 2024 sono ben più che allarmanti. Oltre 11 ML di bambini e giovani soffrono di disagi psichici; tra questi ben il 20% tra i giovani in età compresa tra i 15 e i 19 anni. Il Covid non ha fatto altro che rendere ancora più evidente il fenomeno. Ma la sua esplosione è da far risalire a circa 12 anni fa, quando il contemporaneo avvento di I-phone 4, Facebook/Instagram, i social sono diventati accessibili a tutti, a partire dal mondo giovanile. Da quel momento il “paradigma” è cambiato: quelli che dovevano essere strumenti di conoscenza, crescita, ampiamento di conoscenze e competenze sono diventati il mezzo per accedere, in assoluta libertà, agli aspetti più negativi e peggiori, facendo nascere, inoltre, una competizione esasperata, basata, nella maggior parte dei casi, sul nulla.